giovedì 30 ottobre 2008

I Fondi affondano!!!

LA VIA CRUCIS DEGLI ATA EX ENTI LOCALI In rosso i rendimenti dei fondi pensione, ma non si può abbandonare la nave che si inabissa

È vero: le bugie hanno le gambe corte. È proprio questo il caso dei fondi “pensione”.

Vi ricordate quando padroni, assicurazioni, istituzioni finanziarie e bancarie, governi e partiti di centrodestra e centrosinistra, sindacalisti di Cgil-Cisl-Uil-Ugl proclamavano ai quattro venti che l’unica possibilità per i lavoratori di salvare la propria pensione era

quella di aderire, versandovi il proprio Tfr, alla previdenza privata?

Adesso però pare che nessuno voglia assumersi la responsabilità del tracollo cui stanno andando incontro i fondi “pensione” (chiusi o aperti o individuali non fa grande differenza).

Nell’inserto economico de Il Corriere della Sera, Roberto Bagnoli, titolava “L’inflazione spinge il Tfr e manda i fondi al tappeto”, nel sottotitolo si legge che dal maggio 2007 al maggio 2008 mediamente i fondi di categoria hanno perso l’1,9%, mentre il Tfr si è apprezzato del 3,6% netto (qualche esempio: linea bilanciata dei metalmeccanici Cometa –5%; linea bilanciata azionaria dei chimici Fonchim –8,3%; linea bilanciata degli autoferrotranvieri Priamo –2,1%; linea bilanciata azionaria delle telecomunicazioni Telemaco -9,6%).

Il medesimo giornalista, neanche un mese dopo (lunedì 16 luglio 2008) sempre sull’inserto Corriere economia, rincara la dose ed il titolo del suo articolo è di questo tenore: “Fondi pensione, il rosso è più acceso”; nel testo esamina l’andamento dei fondi pensione chiusi (quelli gestiti da padroni e sindacati) riferito al primo semestre del 2008 e, corredato da ponderose ed inequivocabili tabelle, il risultato che ne vien fuori è a dir poco strabiliante: in soli sei mesi, 12 da gennaio a giugno di quest’anno, mediamente i Fondi di categoria hanno perso il 2,7%, mentre il Tfr ha guadagnato il 2%.

Dal 2000 al 2008 (nonostante il 2004, 2005, 2006 siano stati anni di vacche grasse per le borse), nessun Fondo pensione di categoria è riuscito a raggiungere il rendimento complessivo del Tfr: +27,7%.

Da ricordare anche che tra i vari fondi quelli che hanno registrato deficit più contenuti o il cui rendimento si è avvicinato di più a quello del Tfr sono i comparti a linee d’investimento garantite, quelle teoricamente meno rischiose; gli altri invece hanno avuto perdite molto più pesanti. Infatti tutti i fondi pensione esistenti si sono strutturati a gestione multicomparto secondo linee d’investimento di difficoltà crescente.

Anche il fondo pensione per i dipendenti della scuola pubblica, Espero (i cui rendimenti

però finora sono solo virtuali), alla fine del gennaio 2008 si è strutturato in due comparti: garanzia e crescita.

Ma leggiamo, dal sito di Espero, le informazioni relative ai comparti: “Con il comparto «garanzia», Espero si rivolge a quegli associati che fossero prossimi al pensionamento e/o a quegli associaticon nessuna propensione al rischio che preferiscono il mero mantenimento del patrimonio. L’obiettivo affidato al gestore che opera con strumenti

monetari è di conseguire risultati comparabili con il Tfr. Al gestore è chiesto comunque di assicurare almeno il valore nominale del patrimonio conferito. In questo caso la garanzia per l’aderente sarebbe di non perdere oltre l’inflazione. Il comparto «crescita» si rivolge invece a quegli associati che prediligono l’obiettivo di conseguire una crescita reale del loro investimento (recupero dell’inflazione +2%) come risultato medio annuo atteso in un orizzonte temporale non inferiore a cinque anni e sono disposti ad accettare anche rendimenti annuali negativi. Il portafoglio è comunque costruito per conseguire nel quinquennio risultati che con elevata probabilità neutralizzino le eventuali perdite di un dato periodo e consentano il dato positivo finale definito dall’obiettivo”.

Veramente incredibile la faccia di bronzo di sostenitori e spacciatori dei fondi.

Ma per quale motivo il lavoratore dipendente vicino alla pensione dovrebbe mollare il proprio Tfr (o - peggio ancora - l’ancor più conveniente Tfs se dipendente pubblico assunto entro il 2000) per una linea d’investimento che garantisca esclusivamente di avere un rendimento paragonabile (si badi non uguale) al Tfr, o che addirittura assicuri soltanto il valore nominale (senza perciò l’inflazione) di quanto investito? E per quale motivo il lavoratore


dipendente giovane dovrebbe giocarsi il proprio salario differito e una parte del proprio reddito, essere disposto anche a perdere per alcuni anni quelli che per lui sono un sacco di soldi, per inseguire la probabilità (si badi non la certezza) di un risultato positivo? A quando la proposta dei fondi salario?

Perché non arrivare, per pagare il lavoro, ad erogare a fine mese, invece dello stipendio un pacchetto di azioni ed obbligazioni? È uno scenario surreale?

Forse. Però, quando, nel pieno dell’estate, veniamo allietati dalla presentazione del libro verde del ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, dal titolo involontariamente dadaista “La vita buona nella società attiva”, in cui viene caldeggiata la necessità di elevare, dopo il 2013, ancora una volta l’età pensionabile e ricorrere sempre più ai fondi pensione (altro che integrativi, ormai decisamente sostitutivi della previdenza pubblica definitivamente azzerata), a cui si aggiunge il grazioso omaggio dei fondi sanitari, allora la risata diventa un ghigno amaro.

Teniamo a sottolineare che la nuova legge che regolamenta i fondi pensione è stata varata dal governo Berlusconi nel 2005, suo massimo sponsor era stato l’allora ministro del lavoro, il leghista Roberto Maroni quindi quando Umberto Bossi, durante la campagna elettorale, cianciava di difendere il Tfr dei lavoratori per restituirlo ai suoi legittimi proprietari, dichiarava consapevolmente il falso; la legge sarebbe dovuta entrare in vigore a gennaio 2008, ma il governo Prodi ha ritenuto opportuno (“per movimentare l’asfittico mercato finanziario italiano”, come diceva l’ex ministro del lavoro Cesare Damiano) anticiparla al 2007; solo così, (come riconosce, nella sua relazione annuale, il presidente della Covip, società di vigilanza sui fondi pensione, Luigi Scimìa), un po’ di lavoratori ha abboccato all’amo e si è iscritto ai fondi pensione, altrimenti, dopo la crisi finanziaria partita nella scorsa estate in seguito allo scoppio della bolla speculativa dei mutui subprime Usa, nessuno sarebbe cascato in trappola.

Tutti, centrodestra e centrosinistra, Cgil-Cisl-Uil e Confindustria, banche e assicurazioni, hanno cercato di abbindolare lavoratori e lavoratrici; la truffa è aggravata dal fatto che, una volta iscritto ad un fondo pensione, il lavoratore non può più uscirne; ma questo era un particolare che a padroni, finanzieri, governi e sindacati di stato non interessava.

Adesso scoprono che, nonostante l’ossessivo tam tam pubblicitario orchestrato l’anno scorso (in buona parte con soldi pubblici) a favore dei fondi, si sono realizzate soltanto 700.000 nuove iscrizioni, per un totale complessivo di poco più del 20% di lavoratori iscritti, un fallimento rispetto all’obiettivo, sbandierato prima dal governo Berlusconi, poi dal governo Prodi, di raggiungere


4

il 40% di adesione ai fondi fra tutti i lavoratori dipendenti, e che il numero più basso di adesioni si riscontra proprio tra quei giovani per i quali i fondi sarebbero indispensabili.

Perciò, a partire dal ministro del lavoro Sacconi, dal presidente della Covip Scimìa e da

qualche sindacalista della Cgil come Morena Piccinini (che è la vice di Bombassei, alla presidenza dell’Assofondipensione, associazione che coordina e promuove i fondi pensione), cominciano a sostenere che è meglio eliminare il divieto di uscita dai fondi pensione, così magari più lavoratori si iscriveranno ai fondi.

Lo fanno per il proprio tornaconto, usando un linguaggio ambiguo, a volte repellente:

“Il successo della riforma è stato molto parziale e c’è bisogno di alcuni correttivi. Il fatto che il conferimento del Tfr alla previdenza complementare sia irreversibile ha spinto molti a rimandare questa decisione. È opportuno consentire qualche possibilità di uscita, per esempio dopo un determinato periodo e per i futuri accantonamenti, anche se per raggiungere risultati adeguati l’accumulo previdenziale deve essere continuativo” (Sacconi);

“Bisogna evitare soluzioni che consentano di uscire liberamente dal sistema ma si può consentire, a determinate condizioni, d’interrompere o sospendere il flusso di Tfr” (Scimìa).

Proprio democratici! Peccato che lo siano a posteriori, dopo aver combinato il guaio.

Ma noi vogliamo prenderli in parola, accettiamo la sfida, convinti che questa sia una battaglia da giocare sino in fondo, bisogna e si può vincerla.

Pertanto invitiamo tutti i lavoratori che malauguratamente siano cascati nella trappola-ergastolo dei fondi pensione a fare pressione e scontrarsi con i propri sindacalisti di riferimento (non è un caso che le adesioni ai fondi siano più numerose nelle aziende dove sono maggiormente presenti Cgil-Cil-Uil e che molto spesso i delegati Rsu si siano trasformati in promoter finanziari) e pretendere la cancellazione della clausola dell’irreversibilità e quindi la possibilità immediata di uscire dai Fondi pensione.


Il Tfr non va giocato alla roulette russa dei fondi pensione, se c’è qualche lavoratore che vuole provare il piacere del rischio, lo faccia per conto suo, chi invece, come Cgil-Cisl-Uil, si è trasformato in biscazziere e piazzista di fondi, è meglio che lasci perdere.